La comunicazione che fa bene al non profit (e ai followers)
Ultimamente mi è capitato di rivedere il corto Are you lost in the world like me? firmato da Steve Cutts e Moby, un inquietante videoclip dove traspare l’alienazione universale degli automi da smartphone. Un fiume in piena di individui disumanizzati che vivono all’interno del proprio telefono. Immagini forti per un’abitudine già fortemente consolidata.
Stiamo parlando di un’esondazione tecnologica causata da un mancato controllo dello strumento (e delle sue funzioni), che troppo spesso viene utilizzato in maniera bulimica e malata. Soprattutto se parliamo di social: reti digitali che connettono il mondo in maniera costante e, oserei, esasperata.
Se ci fermassimo un attimo e riacquistassimo un po’ di lucidità, riusciremmo a carpire la natura dei social, quella più pulita, nata per creare canali interpersonali.
Le piattaforme possono essere in grado di fare grandi cose, partendo da quella che potremmo definire comunicazione sana.
Ci sono, infatti, degli utenti che hanno saputo utilizzare i propri profili per sensibilizzare i followers in merito ad un certo argomento.
Mi vengono in mente Martina Rodini, giovane beauty influencer e naturopata, che ha deciso di condividere sul suo Instagram l’esperienza della malattia, trovando così una nuova voglia di ricominciare. O come Andrea Pinna, un influencer conosciuto dai fan per le sue perle di ironia, che ha voluto sensibilizzare le persone sul suo disturbo bipolare. Spronando il mondo del like randomico e dei finti sorrisi a rimanere umano, accogliente e in ascolto.
Ecco che quindi, la bruttura dell’apparenza ritrova una tridimensionalità e una sua anima.
Negli ultimi tempi, anche il mondo del non profit si è avvicinato alla comunicazione online, trovando nell’universo social un alleato efficace.
Un esempio eclatante è stata la campagna video dei the Jackal per ActionAid, dove il successo è stato l’utilizzo di un linguaggio diretto e informale.
Ed è proprio sul tone of voice (tono di voce) che va pianificata la comunicazione social, dopo aver strutturato una strategia ad hoc, per la definizione di target e contenuti (qui vi abbiamo raccontato come fare).
A questo proposito si è esposto anche Paolo Iabichino, grande esperto di comunicazione che, interrogato dal portale vita.it sulla ripartenza comunicativa del Terzo settore nel post pandemia, risponde con quello che sembra essere uno slogan tout court: “Meno sensazionalismo e più concretezza”.
La sua visione è secca e diretta: va evitata quella pornografia emozionale, spesso presente nello stile dell’associazionismo sociale, a favore di un approccio vero e umano.
Va mantenuto un dialogo attivo per favorire quella tipica energia antropica, imprescindibile per una realtà fondata dalle e per le persone.
Lavorare con l’online per l’offline, questo dovrebbe essere lo spirito del social sharing a favore di quella cultura della condivisone, che guarda negli occhi anzichè ai pixel.
D’altra parte come si potrebbe pensare di parlare al cuore delle persone, senza essere i primi a usarlo?
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- Sono una triestina trapiantata a Roma da più di dieci anni. Corro soprattutto sul Lungotevere e nei campi del Nordest, adoro la Settimana Enigmistica e la vitovska del Carso. Mi piacciono le persone vere, quelle con le quali poter creare un dialogo, una reciprocità, un ascolto. Credo nella forza della parola e nella sua intrinseca natura di scambio comunicativo.
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